Nel 1981, le ditte sementiere erano 7mila. Trent’anni dopo, il settore è concentrato in poche mani: Monsanto, Syngenta,…
Pubblicato da Altreconomia su Mercoledì 20 aprile 2016
Archivi categoria: Multinazionali… impariamo a conoscerle!
Parroco contro Parmalat, vende formaggi. Azienda boicottata perché non compra più da produttori genovesi
Una vendita di formaggi davanti alla chiesa per sostenere i produttori di latte genovesi dopo che Parmalat ha deciso di non rinnovare loro il contratto di acquisto: i produttori hanno rifiutato l’accordo a 25 centesimi a litro. L’iniziativa è di don Valentino Porcile, parroco della chiesa della Santissima Annunziata di Sturla che “tra domani e dopo domani si recherà a Rossiglione a conoscere tre caseifici”.
“Sabato e domenica – ha spiegato – in chiesa daremo un assaggio del loro formaggio, venderemo alcuni pezzi e prenderemo le prenotazioni per altro formaggio. Ma già la prossima domenica o quella ancora dopo arriveranno gli allevatori in parrocchia a vendere”. “L’iniziativa – ha detto don Porcile – che arriva dopo l’invito al boicottaggio dei prodotti Parmalat, serve per sostenere gli allevatori”. I produttori di latte genovesi, dopo l’intervento di Regione e Comune, hanno trovato un accordo per vendere, per il momento, il latte al Caseificio Pugliese di Lauriano (Torino), pare a 29 centesimi a litro.
(fonte: ANSA.it, Genova 13 aprile 2016)
Plasmon toglie l’olio di palma dai biscotti per bambini. Un risultato importante che dimostra l’efficacia della pressione dei consumatori
Dopo decine di lettere inviate da mamme e papà indignati per la presenza di olio di palma nei biscotti Plasmon, una petizione online su Change.org e il nostro racconto di una mamma arrabbiata perché non ha mai avuto risposte dall’azienda sul tipo di olio vegetale usato nei biscotti, oggi Plasmon ha deciso di dire stop all’olio tropicale, creando addirittura un pagina web dedicata.
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Coca Cola in ritirata dal Rajasthan: vincono i contadini
Da oltre 10 anni villaggi e comunità rurali si erano mobilitati contro il gruppo accusandolo di derubare le risorse idriche destinate alle campagne
MILANO – Il Rajasthan indiano ferma la Coca Cola e costringe il colosso americano a battere in ritirata sospendendo l’imbottigliamento della bibita in tre impianti del Paese. Il gigante statunitense ha quindi ceduto alla pressioni che proseguono da oltre 10 anni durante i quali numerosi villaggi e comunità rurali in India si sono mobilitati, con proteste, manifestazioni, boicottaggi e liti legali, contro la Coca Cola e la Pepsi Cola, accusandole di derubare le risorse idriche destinate alle campagne, di usurpare le terre delle comunità contadine e di inquinare il suolo, attraverso il rilascio nel terreno di sostanze chimiche usate per il riutilizzo delle bottiglie.
In India l’agricoltura utilizza il 91% dell’acqua piovana, contro il 7% utilizzato dalle aree urbane e il 2% dall’industria. Gli impianti di imbottigliamento della Coca Cola (e della rivale Pepsi) sono accusati di consumare enormi quantità di acqua per la produzione delle bevande e il lavaggio delle bottiglie, a scapito proprio dei lavori agricoli della zona. Coca Cola ha sempre respinto le accuse, ma è stata anche costretta, nel corso di oltre un decennio, a ritirare molte domande di permessi per lo sfruttamento idrico delle falde acquifere.
Adesso la Hindustan Coca Cola ha annunciato di aver deciso la riorganizzazione operatività delle sue 24 società di imbottigliamento che operano in India e di aver deciso di chiudere l’impianto di Kaladera e altri due stabilmenti, uno nel Meghalaya e l’altro nell’Andhra Pradesh. Il gruppo sostiene che si tratti di impianti vecchi che verranno riutilizzati come magazzini. Nel 2005, la Coca Cola aveva già chiuso un impianto di imbottigliamento nel Kerala, sull’onda delle proteste delle comunità rurali, mentre nel Rajasthan sono almeno 25 mila i contadini che si sono battuti contro gli impianti americani e adesso accolgono con soddisfazione la decisione dell’azienda.
“Siamo contenti – dice Mahesh Yogi, uno dei capi della protesta contro il colosso Usa – L’impianto consumava il livello delle falde lasciandoci senz’acqua per irrigare i campi”. “Il vero problema – replica un portavoce della Coca Cola – è che gli sforzi degli ambientalisti dovrebbero includere dei passi per costringere gli agricoltori a usare l’acqua in modo più efficiente”.
fonte: repubblica.it – 12-02-2016
Migranti, se in Svizzera le spese di accoglienza le pagasse la Nestlé?
Fili invisibili. Proviamo ad unirli. La Société des Produits Nestlé S.A (nota più semplicemente come Nestlé) ha sede in Svizzera e paga le tasse nel paese, contribuendo in parte anche ai costi del sistema sociale. Supponiamo che la stessa società, vada incontro a una causa legale per “chiudere un occhio” sul presunto sfruttamento di lavoro minorile dei suoi fornitori nelle piantagioni di cacao della Costa d’Avorio. A questo punto chi dovrebbe pagare le spese di accoglienza dei migranti?
Facciamo un passo indietro. La Nestlè avrebbe provato a fermare la causa presso la Corte suprema americana (aver permesso ed essere complice dello sfruttamento di bambini nei campi della Costa d’Avorio) in cui è accusata di essere a conoscenza dell’impiego di manodopera minorile da parte degli agricoltori local. Avrebbe permesso e finanziato i produttori per avere la materia prima che serve a parecchie sue produzioni a un prezzo basso a causa di tale sfruttamento.
Abby McGilldell’International Labour Rights Forum(che ha originariamente introdotto la causa) ha affermato che la sua organizzazione “ha lottato per molto tempo per rendere trasparente la catena dei fornitori e per ristorare le vittime” dello sfruttamento. Citando uno studio finanziato dal Dipartimento del Lavoro Usa, del luglio scorso, McGill dice che ci sono 2,12 milioni di ragazzi nei campi di Costa d’Avorio e Ghana, in crescita netta rispetto al milione stimato per l’anno prima. Altri dati, relativi al2013, dicono che in media il coltivatore di cacao di quelle regioni ha sei bambini e che sopravvive grazie a un reddito reale di 40 centesimi al giorno.
Questi dati, ampiamente diffusi sulla stampa internazionale, possono essere accostati a questi altri che dicono che la Svizzera ha deciso di imporre a chi chiede accoglienza di consegnare fino a1.000 franchi svizzeri dei loro beni per pagare le spese. La Svizzera, come la Danimarca, impone ai rifugiati di consegnare fino a 1.000 franchi svizzeri (circa 900 euro) dei loro beni per pagare le spese di accoglienza.
Ricapitolando: mentre il Ceo di Nestlé, Paul Bulcke, nel 2013 ha intascato 12,6 milioni di franchi (238 volte i dipendenti), i minori ivoriani sono costretti a lavorare nelle piantagioni da cui proviene una buona parte degli introiti della Nestlè per integrare il misero salario familiare. Oppure, per le bambine, l’alternativa è la prostituzione. Ma allora, se questi bambini, da soli o accompagnati dai loro genitori, volessero andare in Svizzera in cerca di quella vita decente che non trovano nel loro paese, perché chiedere loro di privarsi di quel poco che hanno? Non hanno forse già contribuito ad arricchire – con il loro lavoro – il paese verso cui sono diretti tramite i guadagni delle multinazionali che vi hanno sede? E se il governo svizzero non riesce a sostenere le spese per la loro accoglienza, perché non si rivolge direttamente alla Nestlé?
Niente di personale. Solo una favola che unisce fili invisibili.
Damiano Rizzi
Presidente Soleterre ONG e Tiziana vive ONLUS
fonte: ilfattoquotidiano.it – 16-01-2016
Nestlé, Pepsi e altre multinazionali multate in Brasile perché nascondono OGM
Multinazionali e OGM. Continua nel continente americano la lotta al cibo geneticamente modificato tanto che alcuni produttori, tra cui Nestlè, Pepsi e la società messicana Grupo Bimbo sono stati multati dal Ministero di Giustizia brasiliano perchè nascondono la presenza di OGM nei loro prodotti.
Il Brasile risulta essere il secondo produttore di colture OGM nel mondo dopo gli Stati Uniti ma, a differenza di quanto avviene negli States, tutti i prodotti che contengono organismi geneticamente modificati devono riportare la cosa in etichetta.
Secondo Telesur, le multinazionali incriminate si trovano ad affrontare multe che vanno dai 277.400 a circa 1 milione di dollari. La decisione del ministero è arrivata dopo un’indagine del 2010 condotta dall’agenzia a tutela dei consumatori Senacon, che ha trovato OGM presenti in diversi prodotti alimentari venduti sul mercato brasiliano e non dichiarati in etichetta.
Senacon ha accusato le società di violare i diritti dei consumatori brasiliani, tra cui il diritto all’informazione, la libertà di scelta e il diritto alla protezione contro le pratiche aziendali abusive. In effetti è dal 2003 che la legge brasiliana ha stabilito che i prodotti alimentari che contengono più dell’1% di OGM debbano riportare in etichetta l’apposito avvertimento: un triangolo giallo con all’interno la lettera “T” che sta per “transgenico”.
La situazione del cibo geneticamente modificato in Brasile ha raggiunto ormai livelli enormi: nel 2014 erano ben 104 milioni gli acri di coltivazioni OGM, più del 93% del raccolto di soia del paese è OGM, quasi il 90% del raccolto di mais e il 65,1% di cotone.
Nonostante la grande espansione dell’OGM, uno studio del 2014 effettuato dall’Università di San Paolo ha evidenziato come molti consumatori brasiliani siano scettici nei confronti di questo tipo di cibo. La reputazione negativa degli OGM in Brasile potrebbe forse spiegare perché Nestle, PepsiCo e gli altri marchi hanno deciso di aggirare la legge evitando di riportare l’informazione in etichetta.
La trasparenza delle etichette alimentari è un tema di grande attualità anche negli Stati Uniti dove Campbell Soup Co, il più grande produttore di zuppe al mondo, ha annunciato che in breve tempo riporterà nell’etichetta dei suoi prodotti la presenza di OGM. Secondo l’organizzazione, Just Label It, che si batte per la trasparenza alimentare negli States, il 90% circa degli elettori americani è a favore dell’etichettatura obbligatoria degli OGM. Si attende quindi anche nel paese a stelle e strisce una presa di posizione governativa che faccia chiarezza sulla questione a favore dei consumatori.
Francesca Biagioli (greenme.it)
http://www.greenme.it/informarsi/agricoltura/18860-multinazionali-multate-brasile-ogm
Troppo zucchero, Nestlé obbligata a cambiare la pubblicità Uk del Nesquik
Nel mirino il coniglio con la scritta “Un ottimo inizio di giornata”. Rimossi dopo le rimostranze di un gruppo che si occupa di sana alimentazione dei ragazzi: nel latte con tre cucchiai di cacao ci sono oltre 20 grammi di zucchero, troppi per i più giovani
Nel Nesquik ci sono troppi zuccheri e per questo non può essere “un ottimo inizio di giornata”, almeno per i bambini che vengono invitati a consumarlo da un simpatico coniglio. Il colosso dell’alimentare Nestlé, che produce e possiede il famoso marchio del coniglietto del cacao in polvere, ha dovuto cambiare la sua pubblicità nel Regno Unito, dopo che l’Advertising Standards Authority (che giudica sul contenuto degli spot) ha accolto le lamentele della Children’s Food Campaign: secondo il gruppo, l’incoraggiamento a iniziare la giornata con il cacao sarebbe un supporto a una cattiva alimentazione dei ragazzi, visto l’alto contenuto di zuccheri del prodotto.
Come racconta il Financial Times, gli attivisti hanno spiegato che 200 ml di latte con tre cucchiai da te di Nesquik contengono 20,2 grammi di zucchero, sopra il limite di 13,5 grammi che separa il contenuto “normale” da quello “elevato”. Stando così le cose, alla luce del fatto che si attribuiscono al lattosio soltanto 9,6 grammi di zucchero, l’Autorità ha giudicato che la pubblicità – così come era concepita – sia un irregolare invito a nutrirsi in maniera squilibrata. E il suo confezionamento grafico, con il coniglio e la scritta relativa, sia proprio un messaggio per i più giovani.
Nestlé si è detta delusa della sentenza, ma ha deciso di rimuovere la scritta “for a great start to the day!” dai prodotti Uk: “Siamo sempre attenti alle preoccupazioni che ci vengono segnalate”, hanno detto dall’azienda ricordando che “stiamo cercando attivamente soluzioni per ridurre l’uso di zuccheri”. Anche
perché, nota l’Ft, l’Organizzazione mondiale della Sanità raccomanda che lo zucchero aggiunto a cibi e bevande non copra più del 5% del fabbisogno energetico quotidiano di una persona, ma in Gran Bretagna gli adolescenti sono in media a un livello tre volte superiore.
da LaRepubblica.it 24-12-2015
Il cannibalismo corporativo delle multinazionali
Se la fusione tra Monsanto e Syngenta non è andata per il momento a buon fine, un accordo è stato invece raggiunto tra la DuPont e la Dow Chemical, gli altri due colossi della chimica Usa che operano in modo devastante anche nell’agricoltura. Le grandi multinazionali che controllano la produzione di sostanze agrotossiche e di sementi OGM vogliono espandersi in settori sempre più vasti dell’agro-business. Se le fusioni tra i giganti del settore non verranno fermate, avremo oligopoli che danneggeranno, peggio di quanto fanno già ora, la sola vera soluzione per alimentare le persone e proteggere il clima della Terra: la produzione contadina, decentralizzata, diversificata, con sementi proprie, quella che nutre la maggioranza della popolazione che abita il pianeta.
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Il Parlamento europeo non autorizza il MAIS geneticamente modificato della MONSANTO
La multinazionale avrebbe diffuso prodotti tossici
Il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria, ha detto no alla decisione della Commissione europea di autorizzare l’uso del mais geneticamente modificato della Monsanto, la multinazionale produttrice non solo di sementi OGM (organismo geneticamente modificato,ndr) ma anche del discusso erbicida Roundup: ci sono stati 403 voti favorevoli e 238 contrari. La motivazione risiede nel fatto di preservare alti livelli di salute e di tutelare l’ambiente all’interno dei suoi confini. Il problema rimane nelle modalità del processo di autorizzazione che danno adito sempre a nuove revisioni e lasciano spazi troppo ampi di manovra alle lobby che tutelano gli interessi delle multinazionali e consentono di ignorare chi vuole tutelare invece la salute e gli interessi dei cittadini. Esistono molte organizzazioni che sottolineano come Monsanto negli ultimi decenni si sia occupata di realizzare prodotti altamente tossici che hanno danneggiato l’ambiente e causato la morte di migliaia di persone.
LE SOSTANZE: tra le sostanze tossiche ci sono la PCB, sostanza che mette in pericolo gli animali e la fertilità umana: la 2,4,5-T, componente utilizzato per la produzione dell’Agente Arancio durante la guerra del Vietnam e che continua a causare tumori e malformazioni alla nascita; vi sono inoltre ilRoundup, l’erbicida più utilizzato nel mondo, fonte di scandalo ambientale e grave minaccia per la salute. Si tratta di un prodotto a base di glifosato, una sostanza ora riconosciuta dall’OMS(organizzazione mondiale della sanità,ndr) come probabile cancerogeno umano. Ultimo, il lasso,erbicida attualmente proibito in Europa.
23-12-2015
fonte: IlMeteo.it
“La Pubblicità di Natale è razzista”. Coca Cola costretta a ritirare lo spot in Messico
La pubblicità trasmessa in Messico rimossa da YouTube dopo le polemiche
Bufera sulla pubblicità di Natale della Coca Cola trasmessa in Messico.
Il video è stato rimosso da YouTube dopo che lo spot è stato accusato di razzismo. Nel video un gruppo di giovani arriva in una comunità indigena nello stato di Oxaca per fare l’albero di Natale e per distribuire la bevanda. In rete ci sono state proteste: secondo molti lo spot lede la dignità delle comunità native messicane. Alcune associazioni di consumatori hanno invece fatto notare come l’obesità sia un grosso problema tra quelle popolazioni e hanno quindi giudicato poco opportuna la trasmissione dello spot .
Approfondimento: Coca-Cola ritira uno spot natalizio accusato di essere discriminatorio e dannoso per la salute delle popolazioni indigene in Messico