Il colonialismo armato delle multinazionali. Il caso della multinazionale Chiquita in Colombia.

Chi sostiene le varie guerre che insanguinano il mondo, fonte di instabilità planetaria e degli esodi di massa? Ecco il caso in Colombia della Chiquita Brand, quella del bollino blu, con sede principale negli Stati Uniti, multinazionale della frutta che domina il mercato delle banane, presente in 11 paesi con un fatturato di 2,2 miliardi di dollari.

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Tre centesimi di dollaro per ogni cassa di banane. Era questo il racket che la multinazionale alimentare pagava ai paramilitari di estrema destra delle Autodefensas Unidas(Auc), affinchè garantissero protezione alle proprie piantagioni dalla guerriglia delle Farc. Il fatto è già noto, la Chiquita, che inonda i supermercati e i negozi con il bollino blu, è stata condannata a pagare 25 milioni di dollari.

Quello che però è più recente è il fatto che le 934 vittime, che vengono attribuite alla Chiquita tramite la mano dei gruppi armati che finanziava e che erano tra i protagonisti della guerra in Colombia, non avranno giustizia. 4mila colombiani hanno sporto denuncia presso i tribunali statunitensi contro la multinazionale di quel paese; ma i tribunali a stelle e strisce hanno risposto di non essere competenti poiché i fatti sono avvenuti fuori dalle frontiere degli Stati Uniti. In verità non sempre è stata eccepita l’incompetenza territoriale per quello che a lungo è stato considerato l’orto di casa.

Secondo la versione dell’azienda tutto ebbe inizio nell’anno 1995. Un pulmino di suoi operai, nella regione dell’Urabà, fu fermato dai paramilitari delle Auc mentre si dirigeva in uno dei molti campi di banane della zona. Gli occupanti furono fatti scendere, costretti ad inginocchiarsi e mentre guardavano per l’ultima volta il fertile orizzonte della regione falciati tutti a colpi di fucile. Morirono in 38 e la Chiquita per evitare altre azioni incominciò a pagare ai paramilitari il pizzo che chiedevano.

Versione non si sa quanto credibile. Infatti, già nel 1928, quando si chiamava United Fruit, l’azienda bananiera ordinò all’esercito colombiano, come fosse al suo servizio, di porre fine allo sciopero dei suoi braccianti con la famigerata strage di Aracataca in cui morirono 300 persone e che Gabriel Garcia Marquez ha descritto nel suo capolavoro “Cent’anni di solitudine”.

La multinazionale ha già confessato di aver finanziato le Auc, organizzazione armata attiva nell’alimentare il terrore nel paese sudamericano ed emanazione del narcotraffico, con 1,7 milioni di dollari tra il 1997 e il 2004, ma non sarà processata per la sua partecipazione alle stragi di inermi cittadini, grazie a cavilli formali. Anche se il famigerato capo supremo delle Auc, Carlos Castano Gil ha raccontato in un’intervista al El Tiempo, quotidiano colombiano, che il 5 novembre 2001 arrivò nel porto di Zungo un grande cargo battente bandiera panamense che scaricò direttamente in un magazzino della Chiquita 23 container, ufficialmente carichi di palloni di gomma, in verità di 3mila fucili AK 47 e 5 milioni di cartucce calibro 5,62. Le armi erano destinate dalla multinazionale con il bollino blu ai paramilitari delle Auc.

La Chiquita, attraverso una complessa ingegneria finanziaria è ancora ben presente in Colombia e ha continuato a versare ingenti quantità di denaro alle cooperative di sicurezza, dietro cui si nascondono tuttora le Auc. Lo ha affermato il quotidiano di Bogotà, El Espectador.

– di: Pedro Cardenas –

fonte: http://100passijournal.info   –   14/07/2015

Kraft-Heinz, la fusione ora è ufficiale

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Sarà la settima food & beverage company al mondo, guidata dal brasiliano Hees. Previsti subito tagli ai costi per 1,5 miliardi di euro.

 

 

The Kraft Heinz Company è ora una realtà. L’approvazione della fusione da parte degli azionisti di Kraft Foods dà il definitivo via libera all’operazione nata a marzo con la proposta lanciata da H.J. Heinz, che delle due entità è quella che “compra”. Nasce così ufficialmente un colosso da 29,1 miliardi di dollari di fatturato aggregato (dati 2014), ovvero 26,2 miliardi di euro, somma dei 10,9 miliardi di dollari di fatturato di Heinz, cui si aggiungono i 18,2 miliardi di Kraft. La proprietà sarà per il 51% dei soci di Heinz, ovvero la Berkshire Hataway di Warren Buffet e il fondo a capitali brasiliani 3G Capital, che rilevarono qualche anno fa la società pariteticamente. Sarà quotata alla borsa di New York.

La nuova società, lo dimostra il fatturato, sarà un big mondiale del food & beverage: nella speciale classifica per ricavi in euro (bilanci 2014) si posiziona direttamente al settimo posto che vede in testa Nestlè con 91,6 miliardi di franchi svizzeri (85,8 miliardi di euro), PepsiCo con 66,7 miliardi di dollari (60 miliardi di euro), Ab Inbev con 47 miliardi di dollari (42 miliardi di euro), The Coca-Cola Company con 45,9 miliardi di dollari (41,3 miliardi di euro), Jbs con 120,5 miliardi di Real brasiliani (34,9 miliardi di euro), Mondelez Internazional con 34,2 miliardi di dollari (30,8 miliardi di euro).

Sono arrivate subito le nuove nomine di vertice: l’amministratore delegato del nuovo colosso sarà il brasiliano Bernardo Hees, già a capo di Heinz, mentre a capo delle operazioni europee ci sarà Matt Hill, anch’esso di derivazione del colosso del ketchup. Molte le fuoriuscite tra il management di Kraft, com’era lecito attendersi. Nei prossimi 2 anni la società procederà a tagli di costi per 1,5 miliardi di dollari: uno sforzo decisamente importante ma in linea con l’operatività di 3G capital, nota nel mondo per la capacità tagliare all’osso le spese. Quando acquisì Heinz taglio 7400 pusti di lavoro e chiuse 5 stabilimenti produttivi.

In parallelo alla ridefinizione dei costi partirà anche la revisione delle ricette e dei prodotti: lo aveva lasciato intendere lo stesso Warren Buffet lo scorso marzo mentre illustrava l’operazione: l’Oracolo di Omaha aveva esplicitamente parlato di una sfida salutistica per le grandi multinazionali del cibo, che non può essere ignorata perché arriva da richieste molto precise dei consumatori. La nuova conglomerata agirà in questo senso, è il parere di alcuni analisti americani che hanno commentato l’operazione.

fonte: http://www.foodweb.it/     6-7-2015

Fairphone 2, lo smartphone etico e smontabile

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Maggiori informazioni su Fairphone:

http://it.wikipedia.org/wiki/Fairphone

http://www.unimondo.org/Notizie/Do-you-have-a-Fairphone-148081

http://www.fairphone.com/

Se il Fairphone si era proposto come via etica alla telefonia mobile, grazie a salari equi e all’uso di metalli non provenienti da zone di conflitto come il tantalio congolese, la nuova versione dello smartphone made in Olanda va contro lo spreco tipico del consumismo. Il Fairphone 2 sarà infatti smontabile con un cacciavite e le sue componenti potranno essere sostituite, in modo da allungare il ciclo di vita del prodotto. Il dispositivo si potrà preordinare in estate a un prezzo di 525 euro.

Lo smartphone, spiega la società in un post, è pensato per durare e non per finire abbandonato in un cassetto ed essere rimpiazzato nel giro di un anno. Per questo ogni elemento può essere sostituito e aggiornato, ma anche aggiunto in futuro, come nel caso dell’Nfc per i pagamenti mobile. Se una delle cause principali per cui un telefonino va in riparazione è la rottura dello schermo, il nuovo Fairphone promette resistenza, grazie a una cornice di magnesio, ma anche la possibilità di cambiare il display in meno di un minuto: basta rimuovere case, batteria e sganciarlo dalle due clip che lo tengono fermo.

Le specifiche tecniche del Fairphone 2 sono nella media. Il cellulare Lte ha display da 5 pollici, fotocamera da 8 megapixel, processore Snapdragon 801 di Qualcomm, 2 GB di Ram e 32 GB di memoria interna, espandibile con schede microSD. Della prima versione del dispositivo la compagnia ha venduto 60mila pezzi.

da www.ansa.it –  18/06/2015

Non mangiare più la Nutella per salvare il pianeta

nutella“Non mangiare più la Nutella per salvare il pianeta”. E’ l’ultima battaglia del ministro francese dell’Ecologia, Ségolène Royal, che intervistata in diretta tv al Grand Journal di Canal +, ha invitato i telespettatori a non mangiarne più per contribuire a salvare il pianeta. Royal ha insistito sul fatto che “la deforestazione massiccia che come conseguenza ha anche il riscaldamento climatico”. E la deforestazione è causata anche dall’uso dell’olio di plama, contenuto nella Nutella.

Fonte: www.ansa.it

Data: 16/06/2015

Calcola la tua Impronta Ecologica

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Calcola la tua Impronta Ecologica!

L’impronta ecologica misura l’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e ad assorbire i rifiuti prodotti. Utilizzando l’impronta ecologica è possibile stimare quanti “pianeta Terra” servirebbero per sostenere l’umanità, qualora tutti vivessero secondo un determinato stile di vita. Confrontando l’impronta di un individuo (o regione, o stato) con la quantità di terra disponibile pro-capite (cioè il rapporto tra superficie totale e popolazione mondiale) si può capire se il livello di consumi del campione è sostenibile o meno.

L’umanità ha bisogno di quello che ci fornisce la natura, ma come sappiamo quanto stiamo utilizzando e quanto abbiamo a disposizione?

Misurando l’Impronta della popolazione — di un individuo, una città, un’azienda, una nazione, o di tutta l’umanità — possiamo valutare la pressione che esercitiamo sul pianeta, per aiutarci a gestire le nostre risorse ecologiche più giudiziosamente e ad agire individualmente e collettivamente a sostegno di un Mondo in cui le persone riescano a vivere entro i limiti del pianeta.

Dal 2003, il Global Footprint Network (GFN), organizzazione internazionale no-profit a cui partecipano Università, organizzazioni non governative, imprese, ecc. è impegnato a fornire strumenti e ad elaborare programmi che possano aiutare i paesi a prosperare in un mondo dalle risorse sempre più limitate. Il Global Footprint Network mira ad accelerare l’uso dell’impronta ecologica, da parte dei decisori politici, così come delle istituzioni finanziarie e le agenzie di sviluppo internazionali, quale principale mezzo di contabilità delle risorse.

Fra gli strumenti informativi che il GFN mette a disposizione sul proprio sito, fra cui report, newsletter, filmati e interviste, case stories, vi è anche il “Footprint Calculator” che, attraverso un semplice test, settato sul paese di appartenenza, calcola quanta superficie terrestre ci vuole per sostenere il proprio stile di vita. Una volta terminato il quiz, ognuno sarà in grado di scoprire quale sono le aree su cui impatta maggiormente e comprendere cosa fare per alleggerire il suo “peso”.Footprint – schermata di esempio
Poiché il sistema calcola l’Impronta ecologica in base ai dati regionali sul consumo di risorse, ottenuti tramite la collaborazione con i diversi patner locali, ad oggi è possibile svolgere il test scegliendo pochissime nazioni, fra cui l’Italia.
Le domande in base alle quali avviene il calcolo spaziano dalle abitudini alimentari, alla spesa dedicata a elettrodomestici e vestiti, a quali mezzi di trasporto sono usati quotidianamente, ecc. Il risultato sarà una tabella riassuntiva che mostrerà qual è la propria impronta ecologica e come si possa agire per migliorarla.

http://www.footprintnetwork.org/it/index.php/GFN/page/calculators/

I padroni del nostro cibo

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I padroni del nostro cibo” è l’ultimo dossier realizzato dal Centro nuovo modello di sviluppo (http://www.cnms.it/).

Esso racconta con 22 infografiche il viaggio degli alimenti dalla chimica al piatto, ed elenca -e presenta- le più grandi multinazionali che gestiscono quello che considerano un business badando solo al profitto. “Quelle stesse che si presentano all’Expo 2015 come le salvatrici dell’umanità mentre hanno a cuore solo i loro interessi” scrive Francesco Gesualdi presentando il dossier.

Scarica il dossier in formato PDF:

Che inizia raccontando la filiera del cibo:

“Nella logica capitalista, la terra è solo un substrato da usare per la miscelazione di ingredienti industriali con l’obiettivo di ottenere quantità crescenti di prodotti da vendere. Per questo il viaggio nell’agricoltura comincia dalle imprese di sementi, pesticidi e fertilizzanti.
Tolti i piccoli agricoltori, che producono per sé o per il mercato locale, nel mondo rimangono pochi milioni di imprese agricole, che pur essendo di grandi dimensioni, sono in una posizione di forte dipendenza nei confronti delle imprese chimiche che impongono prezzi elevati sui loro prodotti, e dei grossisti che impongono prezzi stracciati su ciò che comprano.
Pochi grossisti fungono da acquirenti esclusivi delle principali derrate agricole. Il che li rende così potenti da decidere loro cosa e come deve essere prodotto, lasciando agli agricoltori tutti i rischi commerciali e finanziari.
I grossisti rivendono alle imprese industriali. In certi casi (es. caffè, cacao, zucchero) le imprese di trasformazione comprano direttamente dai produttori con la stessa arroganza dei grossisti.
Le imprese di trasformazione rivendono ai supermercati che a loro volta vendono ai consumatori”. (da www.altreconomia.it)

Scarica il dossier dal sito del Centro nuovo modello di sviluppo:

http://www.cnms.it/categoria-argomenti/17-imprese-e-consumo-critico/165-i-padroni-del-nostro-cibo

Coca Cola all’Expo 2015 – Intervista a Francesco Gesualdi

Intervista a Francesco Gesualdi, punto di riferimento del consumo critico e del commercio equo solidale, che espone le obiezioni alla presenza della multinazionale come partner ufficiale dell’Esposizione universale sull’alimentazione. (fonte: http://www.cittanuova.it)

Come dichiara il sito ufficiale di Expo 2015 Milano, Coca Cola è l’Offical soft drink partner dell’esposizione universale «in virtù del suo impegno sul fronte dell’innovazione e della crescita sostenibile capace di generare ricchezza per la comunità, tutelando le risorse utilizzate e incoraggiando consumi e stili di vita equilibrati». Abbiamo chiesto un parere a Francesco Gesualdi, fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo di Pisa, padre del consumo critico e del commercio solidale in Italia, attinge il suo pensiero dalla grande esperienza della Scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani.

È contestata la presenza della Coca Cola all’Expo sull’alimentazione, ma non si tratta, pur sempre, di una delle maggiori imprese nel settore che ha mostrato sempre più attenzione all’impatto sociale della sua attività industriale?

«Con Cola Cola ci sono quattro ordini di problemi. Il primo: commercializza un prodotto inutile a forte impatto ambientate. Il secondo: produce un prodotto che pone seri rischi per la salute. ll terzo: come tutte le imprese è interessata solo al profitto e pone attenzione ai problemi sociali e ambientali tanto quanto basta per costruirsi una buona immagine nei confronti dei consumatori. Il quarto: usa il suo potere economico per condizionare la politica, svuotando di fatto la democrazia. Durante le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, nel 2014, Coca Cola ha speso in sovvenzioni ai candidati quasi un milione di dollari.
Coca Cola solo nel 2012 ha realizzato nove miliardi di profitti netti da un fatturato di 49 miliardi di dollari ossia il 18 per cento. A chi sono stati sottratti quei soldi finiti nelle tasche di Warrent Buffett e gli altri azionisti di Coca Cola? Questo è quello che ci interessa sapere, non il numero di ambulanze che Coca Cola ha donato alle varie organizzazioni di beneficienza».

Quali sono gli attuali punti critici di questa multinazionale? Da molto tempo non si sentono notizie sulla repressione tollerata del sindacato in Colombia o sullo sfruttamento dell’acqua in India: manca motivo del contendere o l’informazione corretta?

«Coca-Cola spende oltre 3 miliardi di dollari in pubblicità. Il che le assicura non solo visibilità, ma anche un grande muro di omertà che la mette al riparo da qualsiasi notizia negativa. Inutile sorprendersi se certe informazioni non circolano. Ma è un fatto che le sue bevande zuccherate contribuiscono grandemente all’obesità e incidono sui bilanci della sanità pubblica che deve spendere miliardi per curare le malattie connesse a un’alimentazione sbagliata. Le bottiglie e le lattine che Coca Cola mette in circolazione provocano alla collettività problemi e costi di smaltimento molto seri. E potremmo continuare con un lunghissimo elenco.
In quanto multinazionale che opera a livello globale, Coca Cola può insediarsi dove le regole ambientali e sociali sono più permissive, riuscendo a violare ambiente e diritti in maniera legale. I contenziosi con le popolazioni locali sull’uso e l’inquinamento delle acque continuano come mostra l’India e il Guatemala. Parimenti, in molti paesi del mondo Coca Cola continua ad essere criticata per la politica antisindacale».

Che senso può avere il boicottaggio se poi l’unico risultato è quello di temperare gli aspetti più predatori della produzione senza poter abbattere il sistema di “inequità”?

«Don Milani ci ha insegnato che il potere sta in piedi attraverso il consenso di tutti. Per cui ogni scelta di non collaborazione contribuisce ad indebolirlo. Quanto più ampio è il ventaglio di cittadini che sa dire no e quanto più ampi sono gli aspetti su cui sappiamo dire no, tanto più alte le probabilità di fare cambiare le imprese e l’intero sistema.
Di fronte alla parzialità delle nostre azioni non bisogna reagire riducendo il nostro spazio di impegno, ma ampliandolo. Per questo è importante riappropriarci totalmente del nostro ruolo di cittadini sovrani che non si limitano a consumare in maniera responsabile, ma occupano tutti gli altri spazi a nostra disposizione: la denuncia, il voto, la manifestazione, lo sciopero, la proposta. Solo usando contemporaneamente tutti questi strumenti possiamo sperare di ottenere il cambiamento».

Come si spiega l’incidenza sull’immaginario collettivo della Coca Cola anche su persone impegnate sui fronti sociali avanzati? Lo vediamo nei gruppi parrocchiali che anche dopo la presentazione sul consumo critico immancabilmente comprano la coca cola come complemento del pasto..

«Le ragioni di tanta contraddizione vanno ricercati su molti piani. Due fenomeni probabilmente incidono più di altri. Il primo è il non sentire su se stessi la responsabilità di ciò che succede, semplicemente perché un certo risultato è frutto della sommatoria dei comportamenti collettivi. In altre parole non hanno accolto la sollecitazione di don Milani che ci invita a “sentirci tutti responsabili di tutto”. Il secondo è che non siamo educati a considerare la coerenza come un valore politico. Non abbiamo ancora capito che la società è frutto di regole e comportamenti e che il cambiamento avverrà solo se sapremo agire sulle une e sugli altri».

fonte: Città Nuova (http://www.cittanuova.it/)

http://www.cittanuova.it/c/446593/Coca_Cola_allExpo_2015.html

Fusione Kraft Heinz: La risposta finanziaria a una svolta culturale

Condividiamo questo interessante articolo di Carlo Petrini (La Repubblica), in merito alla recente notizia della fusione tra la multinazionale Kraft e la Heinz.

UNA RISPOSTA FINANZIARIA AD UNA SVOLTA CULTURALE

IL MONDO sta cambiando, il modo di approcciare il cibo e gli acquisti alimentari sta cambiando.

E’ un dato di fatto incontrovertibile ancorché lento, progressivo e non esplosivo. In gran parte del mondo, Stati Uniti in testa, le persone si orientano ogni giorno di più verso consumi alimentari attenti alle produzioni locali di piccola scala, stagionali, organiche.

A fronte di questo processo è significativo che la grande industria, che si vede minacciata da un radicale cambio di mentalità, risponda andando esattamente nella direzione opposta.

Grandi fusioni tra gruppi con fatturati a nove zeri creano a gran velocità pachidermi ansiosi di rispondere in qualche modo alle nuove tendenze che assottigliano margini e utili e creano i primi scricchiolii in Borsa. Ma gli accorpamenti mastodontici sono monodirezionali: l’obiettivo è ristrutturare le dinamiche produttive tagliando i costi e rendendo più efficienti i processi senza operare alcun miglioramento nella qualità del prodotto.

La fusione tra Kraft e Heinz non porterà ad avere sugli scaffali dei supermercati salse più buone o con materie prime migliori, piuttosto servirà a risistemare nodi finanziari che sui mercati azionari non rendono quanto previsto dagli azionisti.

In sostanza siamo davanti a una grande operazione di carattere finanziario, che ben poco – o meglio nulla – ha a che fare con il cibo, che pure dovrebbe essere il fulcro dell’attività di entrambe le aziende che si uniscono.

Ma reazioni di questa portata nulla potranno per invertire il trend di un nuovo approccio al consumo di cibo che ormai è avviato e non accenna a fermarsi; al contrario, il pericolo è che a perdere e a rischiare di rimanere schiacciati siano, nel prossimo futuro, le piccole realtà industriali, che pure sanno spesso fare qualità oltre che occupazione.

Ci aspettano tempi interessanti, ma sul fatto che formaggi a latte crudo fatti in piccole quantità e venduti localmente così come conserve realizzate con frutta autoctona o microbirrifici di provincia continueranno a erodere piccole ma diffuse quote di mercato, e che non ci sia modo di invertire la corsa di questo treno non c’è dubbio. La finanziarizzazione e la fusione di grandi gruppi è una risposta di corto respiro, buona per chiudere in positivo ancora qualche bilancio ma di certo incapace in alcun modo cambiare quello che innanzitutto è un processo di coscientizzazione e consapevolizzazione, in definitiva un lento cambiamento culturale dei consumatori, sempre più cittadini, sempre più coproduttori.

(di Carlo Petrini,  da “La Repubblica” del 26/03/2015 pag.22)

Nuova iniziativa della Campagna Banche Armate

A 15 anni dal lancio della Campagna Banche Armate, le tre riviste: Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia, hanno pubblicato un Editoriale comune e un volantino di approfondimento per rilanciare la Campagna soprattutto in occasione della Quaresima. Per visualizzare e scaricare il materiale da diffondere collegarsi al sito web della Campagna Banche Armate: http://www.banchearmate.it/home.htm

Dall’ Editoriale comune delle riviste promotrici della Campagna di pressione alle “banche armate”: Missione Oggi, Mosaico di pace, Nigrizia.

“…Concretamente, chiunque abbia un conto presso istituti di credito che effettuano transazioni illegali è connivente, si rende cioè complice di un’azione disonesta, pur non avendo parte attiva. Dovrebbe troncare ogni rapporto. Ma anche chi ha rapporti con una banca che sostiene legalmente l’industria delle armi, deve chiedere trasparenza (perché le banche non scrivono in bella vista: “qui si fanno affari con i missili”?), esercitare le dovute pressioni (anche contemplando la chiusura del conto), operare perché l’istituto assuma criteri di responsabilità sociale. Se sentiamo chiamata in causa la nostra responsabilità civile e morale, muoviamoci subito. A partire dalla prossima Quaresima. Promuoviamo in parrocchia, negli istituti religiosi, nelle associazioni una riflessione e una sensibilizzazione sul tema delle spese militari e il ruolo delle banche nel commercio delle armi.”